21 maggio 2008

Due Zingari


Una giornata speciale, una giornata di piccole cose, per piccoli, grandi motivi. 
Una passeggiata con la mia ragazza, felice di aver appena comprato il suo primo obiettivo, a Porta Portese, usato, vecchio. 
Come il 50mm di mio padre con cui ho conosciuto la fotografia.

Mentre camminiamo, un cucciolo di bassotto, a spasso con i suoi nuovi padroni. Così dolce, così carino. Come non fargli due foto mentre al semaforo aspetta di attraversare, goffo e spaventato, le prime strade della sua vita?
"Poi devi fare una foto anche a lei!" esclama una voce fuori campo. Un uomo, col suo zaino, si accompagna ad una deliziosa bastardina, meno nobile del bassotto - questo è certo - ma elegante come Marlene Dietrich, con un foulard al collo. Quell'uomo è Mario, con la sua cagnetta, di cui - ci tiene a precisarlo - non è il padrone, ma il "responsabile". 
Perchè lei non è SUA, è con lui.
 
Mario è un fotoreporter freelance, che è mancato dall'Italia per trent'anni. Ha vissuto in mezza Europa, ad Amsterdam, in Norvegia, in Germania...praticamente ovunque. 
Uno Zingaro d'altri tempi. 

Parla otto lingue, dice. Ma bene solamente sei. Imparate soprattutto per strada, dove talvolta Ha vissuto. Da cui una giovane italiana, Daniela, l'ha portato via, l'ha salvato, per riportarlo in Italia. Dove adesso si trova. Pronto, come una piuma, a spiccare il volo al primo alito di vento.

Si parla di fotografia, ovviamente "analogica", quella che si faceva e che pochi temerari amatori ancora fanno con la pellicola, con la camera oscura, con il cuore. 
Quella che la digitalizzazione sta trasformando in una lenta eutanasia dell'arte.

Secondo Mario, la foto a pellicola è un insieme di fattori unici (luce, temperatura, umidità, stato d'animo di chi scatta...), che mai si ripeteranno e che rendono ogni fotogramma un istante catturato nella storia del mondo, nella storia di ciascuno di noi. Lui lo chiama il "Carpe diem". Che fa tanto Setta dei Poeti Estinti, che fa tanto Professor Keating...
E dentro di me cresce a dismisura la voglia di salire sul parapetto del ponte e urlare:"Capitano, mio Capitano!!"

Punto di vista affascinante il suo, senza dubbio. 
Talmente affascinante da costringermi a tirare fuori dallo zaino la mia Yashica...una vecchia reflex a pozzetto che ultimamente, forse stanco delle fredde schede di memoria, ho deciso di ricominciare ad utilizzare.
I suoi occhi brillano.

Si continua a parlare. Politica, vita di tutti i giorni, si parla di noi. 
Si parla con un estraneo, che poi tanto estraneo non sembra.

Dal di fuori forse io e la mia ragazza sembravamo due turisti fermati da un senzatetto alla ricerca di qualche spiccio, dal di dentro eravamo due uomini, uno più esperto e vissuto, l'altro meno ma con tanta grinta e curiosità addosso, che si confrontavano, raccontavano, aprivano l'un l'altro, mentre una neo-reporter, con il suo obiettivo nuovo, raccontava con le sue immagini quei bellissimi momenti.

Si fa tardi, dobbiamo andare. Dopo aver detto una decina di volte ciascuno "ti dico questo e ti lascio andare", ci accorgiamo che e ora di separarci. E ci dispiace. 
Veramente.

Mario ci lascia il suo biglietto da visita. Ci salutiamo, ci sentiremo. Tre o quattro strette di mano e le nostre strade si separano.

Andando via parlo con la mia compagna di viaggio dello sguardo appena incrociato e di quanto la sua storia somigli a quella di qualcuno a me caro, che mi ha dato lo spunto per trovare un muretto su cui sedermi, per esprimere i miei pensieri, per incontrare dei passanti, per incontrare degli amici.

Dentro di me però il pensiero è un altro. 

Penso a quanto quello sguardo mi sembrasse familiare, quanto in comune avessi con quell'uomo, quanto alla fine, forse, sia assurdo affannarsi a cercare di ottenere degli status, degli oggetti, delle sicurezze....quando girando per il mondo, con una macchina fotografica in mano, magari dormendo per strada, si possano imparare otto lingue, vedere posti indimenticabili, conoscere la storia, la politica, le culture, le persone. E non da internet, da linkedin, flickr o social network vari ed eventuali, finalizzati solamente a mettere insieme tante solitudini, di persone che non passeggiano più in strada, non si fermano più a chiacchierare con gli estranei.
Certo è che stando le cose così come stanno, nonostante una piacevole chiacchierata, bagnati da uno splendido sole romano, io e Mario siamo diversi sotto tanti aspetti. 
Questo è certo.

Ma è poi così certo?

Ciao Mario, grazie della chiacchierata e a presto.

9 maggio 2008

9 maggio 1978

Certe volte ho paura che i giovani che crescono nella mia terra, una terra bellissima, dimentichino chi, a costo della vita, a cercato di cambiarla. Di renderla qualcosa di diverso da un luogo dove un politico indagato, giudicato e condannato, diventa Senatore della Repubblica.

Quale Repubblica?
Quella fondata sul Lavoro...
...a progetto.



Grazie Peppino.

4 maggio 2008

Accetta il consiglio...



Goditi potere e bellezza della tua gioventù.
Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.
Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non t'erano mai passate per la mente.
Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa' una cosa, ogni giorno che sei spaventato.
Canta.
Non esser crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l'invidia.
A volte sei in testa.
A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d'amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant'anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche.
Le tue scelte sono scommesse.
Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo.
Usalo in tutti i modi che puoi.
Senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
È il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla.
Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza.
Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori.
Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli.
Sono il migliore legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono.
Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e di stili di vita, perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant'anni sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell'accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio... per questa volta.

Phil Cooper

3 maggio 2008

Il 19% degli italiani è simpatico



(ANSA) - ROMA, 3 MAG - Sono gli Zingari l'etnia 'poco o per nulla simpatica' agli italiani: almeno cosi' dichiara l'81% in un sondaggio Ispo di Renato Mannheimer. A loro favore si schiera solo il 6%, mentre il 13% risponde 'non so'.

Ho sempre creduto che una persona possa essere intelligente, due un pò stupide, tre saranno probabilmente idiote, un popolo intero e composto da teste di cazzo.
Il qualunquismo e la superficialità che ormai caratterizzano la nostra era sono, in modo silenzioso ma inarrestabile, ciò che ci sta lentamente rovinando.
Una struttura socio-culturale fatta leggendo pagine e pagine di Wikipedia invece che di libri, fatta di barriere dettate dal timore del prossimo, dalle nostre insicurezze, non può che portare la popolazione a ragionare per luoghi comuni, degni di un tavolino al bar della piazza.

Non ci apriamo agli altri, non cerchiamo più di conoscere gli altri. Figuriamoci se possiamo conoscere la storia di popoli tra i più antichi d'Europa, con tradizioni che, per quanto diverse dalle nostre, per quanto a volte discutibili, si sono affermate in secoli di nomadismo, di viaggi, di incontri con altre culture
Quindi di arricchimento.
Certe volte, leggendo i giornali, osservando in strada quello che accade attorno a me, mi vergogno molto più di essere un italiano, di quanto mi vergognerei di essere uno Zingaro.

In (fanculopensiero) Maksim racconta del suo incontro con i Rom slavi quando, rimasto senza un soldo ed avendo sentito dire che avrebbero pagato per dei documenti d'identità, andò dagli Zingari per vendere il suo passaporto ed avere un pò di denaro per andare avanti. 
Con timore entrò nel campo, dove fu accolto con rispetto, lo stesso che aveva dimostrato lui. Dopo aver chiesto di parlare col capo, Sandokan, fu da questi accolto, invitato a mangiare, a parlare di sè. 
Parlarono, davanti a tutto il popolo del campo, del libro che Maksim voleva scrivere. Lui parlò loro degli Angeli, delle rare persone che sono come angeli, come i bambini che giocavano in quel momento attorno a lui.
L'incontro si concluse e Maksim andò via con una mazzetta di denaro, e con il suo passaporto in tasca. 
Gli Zingari gli diedero del denaro per finire il libro, non per i suoi documenti.

Si, è un singolo caso, forse molto isolato. Ma è successo, è un fatto accaduto.
Forse vale la pena di domandarsi cosa lo ha reso possibile. Io me lo sono domandato.
E la mia risposta è il rispetto. 
Reciproco.

Qualcosa che indipendentemente dall'etnia di ciascuno di noi, oggi vedo in giro sempre meno.

2 maggio 2008

Eros e Thanatòs - Capitolo II - Il prigionero della Luce Nera

Capita più frequentemente di quanto ci si immagini. 

A me è capitato una volta sola ma per un periodo di tempo lungo, decisamente lungo ed oggi, riguardando indietro, assolutamente devastante.

In un dato momento, tra due persone come un genitore ed un figlio, una coppia di fidanzati, due amici o due colleghi di lavoro, possono venirsi a creare le condizioni per una dipendenza malsana, morbosa, letteralmente patologica: si crea tra loro un un rapporto di puro invischiamento psicologico all’interno del quale un soggetto avverte un forte bisogno inconscio che l’altro gli dipenda. Senza accorgertene, con un veleno che non ha odore, non ha colore, non ha sapore, ti "ammali". Diventi un prigioniero.

Nelle fasi iniziali di un rapporto di coppia, aggravato dall'essere uno di quelli più difficili, dolorosi e forieri di grandissimi sacrifici - un rapporto a distanza - mi sentivo “nutrito”, gratificato, dalla dipendenza che avevo dalla mia compagna, cancellando nella mia testa qualunque figura femminile conosciuta in precedenza, idealizzandola oltre ogni logica, oltre ciò che sarebbe stato sensato ed equilibrato fare per quello che vedevo, che vivevo, che ricevevo. 
Dunque ho inconsapevolmente alimentato il bisogno che la mia partner aveva di creare una figura dipendente da lei, che avesse lei come unico e più alto riferimento per ogni emozione, per ogni scelta.

Il rapporto sembrava vivere in perfetto equilibrio, guidato da un amore senza limiti, destinato a grandi progetti, destinato ad essere l'unica cosa che veramente contava. Al di là di ogni logica considerazione ed al di là dei segnali, spesso evidenti e tangibili, che qualcosa a monte fosse deviato, rotto. Nonostante spesso agli occhi degli altri i rapporti minati da simili dinamiche appaiano spesso ideali, poiché l’incastro emotivo che si instaura conferisce al legame una sembianza di contiguità indissolubile e perfetta (i due diventano un uno assoluto) gli avvertimenti che ricevevo dall'esterno, da amici, familiari, affetti, erano frequenti: non sei felice, quella persona ti sta facendo male, ti sta rendendo un altro, cupo, triste. 
Ti sta modificando.

Quell'amore era in realtà evidentemente malato.
Il progetto che ciascuno di noi ha è per definizione alimentato da un bisogno di autorealizzazione e non può coincidere perfettamente con le esigenze dell’altro; quindi in men che non si dica finimmo entrambi per soffrire. 
Una perché mi tratteneva, io perchè trattenuto. 

In tutti i modi cercavo di continuare ad essere me stesso, rispettando sempre e comunque, prima ancora della persona che amavo, l'amore che provavo per lei.Continuando, ogni giorno sempre più, ad idealizzare, a creare una figura perfetta. 
Che mai mancava di sottolineare la mia imperfezione...

Nonostante le deprivazioni fisiche, affettive, psicologiche, a testa bassa e senza nemmeno affrontare con reale spirito critico quello che la vita, quel rapporto, mi metteva davanti agli occhi, continuavo a porlo su un piedistallo che non poteva essere sfiorato da nessuno. Nemmeno da me.
Gli scontri presto divennero inevitabili e continui, finchè non mi trovai costretto ad essere me stesso solo nei ritagli di tempo. E spesso "di nascosto".

Ad un certo punto il senso di soffocamento dovuto al non poter esprimere fino in fondo il mio essere, il mio amore, il mio pensiero, mi ha scaraventato in un vero e proprio tormento, generato da una spirale egoistica che ancora oggi mi domando se fosse spinta da una qualche forma di vero affetto, non dico nemmeno amore ma anche e solo semplice affetto, per me. 
Mi domando se non fosse spinta da un bisogno di "qualcuno" che si trasformasse in prigioniero, più che di me.

Col passare del tempo, colei che mi tratteneva in una gabbia comportamentale diversa da quello che sarebbe stato il mio spontaneo manifestarmi iniziò a percepire un forte disagio, specialmente con il l'avvicinarsi delle tappe importanti della vita, di avere accanto a sé un uomo che non corrisponde più alle sue nuove esigenze, alle sue passioni. 
Diverso quindi da chi non ride più, non si cura più come prima, non ha più fascino ed è sempre prevedibile, perchè ad ogni richiesta dirà sempre sì.

Questo mi ha sostanzialmente portato a vedere la donna che amavo crescere, sentendomi ogni giorno sempre più inadeguato, sempre meno all'altezza, immaginandola come una dea, che evidentemente non era, e non certo perchè crescesse la mia stima di lei. 
Ma perchè via via spariva la mia stima di me...
...facendomela percepire come un qualcosa non più alla mia portata, come un qualcosa di irraggiungibile.

Accorgermi che tutte le attenzioni che cercavo di non fare mancare mai, tutti i sacrifici fatti, spesso oltre le mie possibilità, sicuramente apprezzati, sicuramente utili alla donna che amavo, erano concretamente del tutto privi di finalità per me mi ha scaraventato in uno stato di assoluto rifiuto di me stesso, togliendomi le forze e la voglia per continuare il mio progetto di vita.

Solo ora mi rendo conto di quanto sia importante capire il prima possibile a chi appartiene il progetto di vita al quale si sta dedicando tutta la propria attenzione, solo ora mi rendo conto di quanto sia importante pensare prima di tutto a realizzare noi stessi, altrimenti non potremo mai ricevere vero amore, quello che aggiunge, non quello che sottrae.

L’insopportabilità di una vita senza senso può condurre a drammi personali irrimediabili: il mio per fortuna è stato rimediabile.

Rinunciare a qualcosa a cui teniamo particolarmente per amore dell’altro è corretto e nobile ma che mai e poi mai deve portare a rinunciare incondizionatamente al senso della propria vita o a compiere molte scelte in funzione dell’altro: il mio è stato un suicidio psicologico e spirituale che, proprio per il bisogno di autorealizzazione insito in ognuno di noi e nella prospettiva di una inevitabile disattesa del rapporto che vivevo, avrebbe portato prima o poi ad un bilancio particolarmente doloroso, che in qualche modo ancora oggi, seppur finalmente sereno e ricambiato, pago. Caro.

Durante quest'anno ho capito veramente, toccandolo con mano, che la nostra mente è in grado di distorcere la realtà fino a modificarla del tutto ai nostri occhi, facendocela apparire talvolta totalmente diversa da ciò che è.
Ho capito che la parola Amore è usata troppo spesso. E con troppi significati. 
Ci sono volte in cui quello che chiamiamo amore, con la sua definizione sul vocabolario c'entra poco. 
O niente.

Dopo che avrò scritto l'ultimo capitolo di una storia che oggi giunge al suo epilogo, sul muretto vi parlerò in modo diverso.
Non più solo del mio viaggio.
Ma dei viaggi che tutti noi compiamo, con il corpo e soprattutto con l'anima che spesso, com'è successo a me, viene investita da una luce nera, perdendosi nel buio. 
Rendendoti prigioniero.

Ognuno di noi ha la sua storia ed un'altra, per quanto simile, non lo aiuterà a maturare le decisioni, gli stati d'animo, che lo porteranno ad una maggiore serenità, all'equilibrio con sè e con gli altri.
Ma tirarle fuori, scriverle, rileggerle, significa prima di tutto ammettere a sè stessi che siano state vissute. A mente fredda, o quasi, le cose appaiono sempre molto diverse.
Oggi mi rendo conto di quanto.

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Questo libro non parla di strada.
La strada solamente appare sullo sfondo. È ambientato in strada, ma non di più.
Questo libro non parla nemmeno di gente di strada. Parla di gente e basta. É stato scritto in strada, questo si...
Questo libro parla di Ricominciare. Ricominciare daccapo, cercando di capire.
O ancora meglio: non facendo nulla senza prima aver fatto lo sforzo effettivo per capire. Prima capire, poi fare. Beati coloro che nella vita non han fatto ancora niente. Le loro pene, quando una buona volta capiranno la propria strada, saranno minime.


Maksim Cristan