26 febbraio 2008

Pesci grandi, pesci piccoli

Certe volte, osservando i comportamenti delle persone, mi sembra di vedere tanti pesci.
Pesci grandi, pesci piccoli.

I pesci grandi sono quelli che nuotano nel mare aperto, anche nel buio e nel freddo delle profondità, senza paura dei rischi che corrono, con quel coraggio che a volte sfiora l'incoscienza, per essere un po’ di più di quello che sono, per amore di vedere un passo oltre il “confine”, oltre il vetro. Il vetro di cui è fatta la boccia, piccola o grande che sia, dove stanno la maggior parte degli altri pesci, i pesci piccoli.

Anche se segnati, pieni di cicatrici, spaventati ed in difficoltà, i pesci grandi sono quelli che sono andati oltre, hanno visto cosa c'è oltre il vetro. E si vede, lo si vede dai loro occhi.

I pesci piccoli sono quelli che si lasciano sopraffare dalla paura di nuotare in mare aperto, che non saltano oltre il bordo nemmeno quando cambiandogli l'acqua, ci metterebbero un attimo. Restano dentro la loro boccia di vetro, rassicurante e senza pericoli. Un universomondo limitato, circoscritto nello spazio e nella mente, dentro il quale potersi sentire grandi.

Forse anche io sono un pesce piccolo. Un pesce piccolo a cui piace tanto parlare con quelli grandi, ascoltando le loro storie e le loro avventure.

Per questo, a costo di essere mangiato in un sol boccone da qualche predatore feroce, a rischio di finire catturato da una rete nascosta o acchiappato all’amo da qualche pescatore senza scrupoli, mi sono lanciato in mare aperto. E’ stato difficile ma emozionantissimo.

Ogni giorno lo è.

Ho tanti piccoli e grandi segni addosso. Alcuni non si vedono, altri si vedono. La maggior parte possono essere visti solo da pesci grandi, specialmente quando mi guardano negli occhi.

Anche se spesso lontani, in mare aperto possiamo incontrarci, toccarci, scontrarci.
Ma...liberi. Liberi di andare dove vogliamo, liberi di essere noi stessi, liberi di....liberi.

E basta.



4 febbraio 2008

Ho licenziato Dio...



Ho licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell'anima e nel cuore.

Le parole che dico
non han più forma né accento
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.

Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi

quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie.

Io che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro.

Come potrò dire la mia madre che ho paura?

Perché non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati
per queste ed altre sere.

E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore.

E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Quando scadrà l'affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.

Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello.

Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell'infinito.

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria.

Invidia

Ogni giorno, uscendo da casa, ci si trova di fronte ad un sentimento che nel mondo, in modo silenzioso e inarrestabile, si diffonde. L’invidia.

Il popolo degli invidiosi cresce ogni giorno, diventando più forte (sebbene composto da deboli), più numeroso, più inutile e vuoto.

Ognuno di noi ha un proprio percorso, unico, mai confrontabile con quello di altri.

Ogni giorno che viviamo ci porta a perdere e a guadagnare qualcosa. Ogni sera, prima di andare a dormire, apriamo lo scrigno del nostro cuore e chiudendo gli occhi, con la testa sul cuscino, lo osserviamo, addormentandoci col sorriso se ha anche solo una monetina in più e con una lacrima che ci scorre sul viso se qualcosa è andato perduto.

A volte per colpa nostra perdiamo qualcosa, a volte per merito nostro guadagniamo qualcosa.

La vita negli ultimi tempi mi ha insegnato una cosa importante: meno abbiamo, più abbiamo voglia di condividere. Quando il tesoro comincia a crescere, cresce anche la paura che qualcuno ce lo sottragga, cresce l’invidia di chi ha un tesoro più piccolo.

L’invidia porta a desiderare quello che non abbiamo avuto le palle di accettare, di conquistare, di tenerci. Vorremmo che certe “disgrazie” fossero capitate ad altri, vorremmo senza sforzi una cosa che rende felice chi abbiamo davanti (renderebbe felici anche noi?), vorremmo riavere indietro ciò che non abbiamo avuto la forza, l’amore, l’attenzione necessaria per non perderlo.

Che ognuno faccia la sua strada e si costruisca e custodisca il proprio tesoro. E con le persone che lo meritano, lo condivida.


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Questo libro non parla di strada.
La strada solamente appare sullo sfondo. È ambientato in strada, ma non di più.
Questo libro non parla nemmeno di gente di strada. Parla di gente e basta. É stato scritto in strada, questo si...
Questo libro parla di Ricominciare. Ricominciare daccapo, cercando di capire.
O ancora meglio: non facendo nulla senza prima aver fatto lo sforzo effettivo per capire. Prima capire, poi fare. Beati coloro che nella vita non han fatto ancora niente. Le loro pene, quando una buona volta capiranno la propria strada, saranno minime.


Maksim Cristan